Nella
grande casa tutto era in fibrillazione: c’era un andare e venire da una stanza
all’altra, un concitato fervore di preparativi.
Tutto
era cominciato due giorni prima, quando all’ora di cena, nel momento in cui la
famiglia era riunita intorno alla tavola della sala da pranzo, lo zio Giacomino
aveva solennemente annunciato: - La settimana prossima mi recherò a Roma.
La
zia Ciccina sgranò gli occhi dalla sorpresa chiedendo:
-
A Roma? E chi ci ha jri a fari?
-
Ho degli importanti affari da sbrigare. E poi, a chi ci sugnu, visiterò la
nostra bella capitale!- rispose il marito.
Ma
l’evento, assolutamente straordinario per quel tempo, suscitava nella zia
Ciccina un enorme senso di disagio e di
incertezza, si capiva bene osservando l’espressione preoccupata del suo viso e,
poiché il marito la conosceva molto bene, prima che lei proferisse parola, aggiunse: - Non ti preoccupare! Ho già il numero di
telefono di Ninu, l’ho chiesto a suo fratello Nicola. Sarà lui a consigliarmi una
pensione dove alloggiare -.
Già
dall’indomani la zia Ciccina cominciò a preparare l’occorrente per il soggiorno
del proprio consorte a Roma, non doveva fare “ mala fiura”; la biancheria venne
lavata e stirata a puntino, gli abiti da mettere in valigia furono
meticolosamente controllati, dovevano essere sistemati all’ultimo momento,
altrimenti “s’arrappavanu”; fu presa
dalla soffitta la valigia e anche quella venne controllata e pulita. Insomma
tutto era pronto. La mattina della
partenza la zia Ciccina si alzò molto presto per preparare al marito del cibo
da consumare in treno, durante il viaggio.
Non
voleva ammetterlo, ma anche lo zio Giacomino era molto emozionato: andare a
Roma era un suo vecchio sogno. Finalmente, presa la sua valigia e salutati moglie
e figli, si avviò verso la stazione ferroviaria, dove salì sulla littorina. Ma
già il viaggio verso Palermo sembrava interminabile, infatti il convoglio si
fermava in tutte le stazioni, impiegando un tempo lunghissimo per coprire un
tragitto abbastanza breve. Alla stazione di Palermo lo aspettava la “ freccia del sud”, dove
trovare un posto era un’impresa, infatti erano tante le persone che in quegli
anni lasciavano la terra di Sicilia per andare a cercare lavoro e fortuna al
nord industrializzato. Trovò finalmente una sistemazione e, “comu vosi Diu”, il
treno partì. Durante il lento viaggio lo zio Giacomino, per ingannare il tempo,
pensava:
“Vorrei
sapere chi ha chiamato questo treno così lento freccia, io lo chiamerei
piuttosto lumaca del sud”. Intanto pensava alla gentilezza di Ninu: gli aveva
trovato una buona pensione, proprio vicino alla stazione Termini e gli aveva
raccomandato di chiamarlo, una volta conclusi i suoi affari; lo avrebbe portato
lui in giro per Roma, gli avrebbe fatto conoscere le strade e i monumenti più belli della Città Eterna.
Già
da quando si era laureato Ninu aveva lasciato Mazara, ma il legame con la sua
città natale era rimasto vivo, quasi viscerale e non soltanto per via dei
legami parentali; dalla fine della guerra però si era stabilito con la sua
famiglia a Roma, dove era docente di lettere e filosofia in uno dei tanti licei
della capitale.
Questi
pensieri passavano per la mente dello zio Giacomino durante il suo
interminabile viaggio verso Roma.
Arrivato,
dunque, e sistematosi abbastanza bene, sbrigò i suoi affari, cercando di
perdere il minor tempo possibile e, finalmente, dopo due giorni di andare e
venire da un ufficio all’altro, si liberò di tutte le incombenze.
Così
, tirato fuori dal portafogli “lu pizzinu” con il numero di telefono di Nino, chiamò
a casa dell’amico e fu proprio lui a rispondere.
“
Ah, Giacomino, finalmente finisti? Allora aspettami alle ore quindici davanti
alla pensione e andremo in giro!”
All’ora
stabilita lo zio Giacomino era in strada e i due si incontrarono;
abbracci, baci e si incamminarono per le vie di Roma.
Che
emozione ritrovarsi a Piazza Venezia,
davanti all’imponente e bianca mole dell’Altare della Patria e poi lungo la Via dei Fori Imperiali, dove
le antiche vestigia continuavano ad
esercitare il loro straordinario fascino in chi le ammirava.
Quanta
storia! Quanti grandi uomini erano vissuti tra quelle vetuste pietre! E lui là,
felice e quasi fuori dal tempo, assaporava tutto e cercava di “stampare” nella
mente ogni cosa che vedeva.
Ad
un certo momento, girandosi verso l’amico, disse:
“
Nino, non si deve dire che sono venuto a Roma senza vedere San Pietro!”
Stabilito
l’itinerario da seguire, gli amici si avviarono verso Piazza San Pietro e,
giunti in Via della Conciliazione, Giacomino, estasiato dall’imponenza e
dall’eleganza dei palazzi, al colmo dell’entusiasmo esclamò:
“
Ninu, sugnu sicuru chi chista è la strata chiù bella di lu munnu!”
Ma
l’amico ribattè:
“
Non è questa la strada più bella del mondo! Vuoi sapere qual è?
E
al cenno affermativo del capo dell’amico continuò:
“
La strata chiù bella di lu munnu è la trazzera di Transinico!”
(
La trazzera di Transinico, l’attuale viale Africa, fino agli anni ’50 era in
mezzo ai campi ed era impraticabile; chi
la voleva percorrere doveva farlo a piedi, per via del fondo stradale molto
sabbioso).
Immaginate
come ci rimase male Giacomino!
E
quando tornò a Mazara raccontò a familiari e parenti l’episodio, commentandolo
così:
“
E cu li capisci a sti filosofi? La trazzera di Transinicu la strata chiù bella
di lu munnu! Mah !”
Se
ci riflettiamo, è solo una questione di punti di vista!
Francesca Adamo
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