lunedì 19 marzo 2012

Questione di punti di vista




Nella grande casa tutto era in fibrillazione: c’era un andare e venire da una stanza all’altra, un concitato fervore di preparativi.
Tutto era cominciato due giorni prima, quando all’ora di cena, nel momento in cui la famiglia era riunita intorno alla tavola della sala da pranzo, lo zio Giacomino aveva solennemente annunciato: - La settimana prossima mi recherò a Roma.
La zia Ciccina sgranò gli occhi dalla sorpresa chiedendo:
- A   Roma? E chi ci ha jri a fari?
- Ho degli importanti affari da sbrigare. E poi, a chi ci sugnu, visiterò la nostra bella capitale!- rispose il marito.
Ma l’evento, assolutamente straordinario per quel tempo, suscitava nella zia Ciccina un enorme senso di disagio e  di incertezza, si capiva bene osservando l’espressione preoccupata del suo viso e, poiché il marito la conosceva molto bene, prima che lei proferisse  parola, aggiunse: -  Non ti preoccupare! Ho già il numero di telefono di Ninu, l’ho chiesto a suo fratello Nicola. Sarà lui a consigliarmi una pensione dove alloggiare -.   
Già dall’indomani la zia Ciccina cominciò a preparare l’occorrente per il soggiorno del proprio consorte a Roma, non doveva fare “ mala fiura”; la biancheria venne lavata e stirata a puntino, gli abiti da mettere in valigia furono meticolosamente controllati, dovevano essere sistemati all’ultimo momento, altrimenti  “s’arrappavanu”; fu presa dalla soffitta la valigia e anche quella venne controllata e pulita. Insomma tutto era  pronto. La mattina della partenza la zia Ciccina si alzò molto presto per preparare al marito del cibo da consumare in treno, durante il viaggio.
Non voleva ammetterlo, ma anche lo zio Giacomino era molto emozionato: andare a Roma era un suo vecchio sogno. Finalmente, presa la sua valigia e salutati moglie e figli, si avviò verso la stazione ferroviaria, dove salì sulla littorina. Ma già il viaggio verso Palermo sembrava interminabile, infatti il convoglio si fermava in tutte le stazioni, impiegando un tempo lunghissimo per coprire un tragitto abbastanza breve. Alla stazione di Palermo  lo aspettava la “ freccia del sud”, dove trovare un posto era un’impresa, infatti erano tante le persone che in quegli anni lasciavano la terra di Sicilia per andare a cercare lavoro e fortuna al nord industrializzato. Trovò finalmente una sistemazione e, “comu vosi Diu”, il treno partì. Durante il lento viaggio lo zio Giacomino, per ingannare il tempo, pensava:
“Vorrei sapere chi ha chiamato questo treno così lento freccia, io lo chiamerei piuttosto lumaca del sud”. Intanto pensava alla gentilezza di Ninu: gli aveva trovato una buona pensione, proprio vicino alla stazione Termini e gli aveva raccomandato di chiamarlo, una volta conclusi i suoi affari; lo avrebbe portato lui in giro per Roma, gli avrebbe fatto conoscere le strade e i  monumenti più belli della Città Eterna.
Già da quando si era laureato Ninu aveva lasciato Mazara, ma il legame con la sua città natale era rimasto vivo, quasi viscerale e non soltanto per via dei legami parentali; dalla fine della guerra però si era stabilito con la sua famiglia a Roma, dove era docente di lettere e filosofia in uno dei tanti licei della capitale.
Questi pensieri passavano per la mente dello zio Giacomino durante il suo interminabile viaggio verso Roma.
Arrivato, dunque, e sistematosi abbastanza bene, sbrigò i suoi affari, cercando di perdere il minor tempo possibile e, finalmente, dopo due giorni di andare e venire da un ufficio all’altro, si liberò di tutte le incombenze.
Così , tirato fuori dal portafogli “lu pizzinu” con il numero di telefono di Nino, chiamò a casa dell’amico e fu proprio lui a  rispondere.
“ Ah, Giacomino, finalmente finisti? Allora aspettami alle ore quindici davanti alla pensione e andremo in giro!”
All’ora stabilita lo zio Giacomino era in strada e i due si incontrarono; abbracci,  baci e  si incamminarono per le vie di Roma.
Che emozione ritrovarsi  a Piazza Venezia, davanti all’imponente e bianca mole dell’Altare della Patria e poi lungo la Via dei Fori Imperiali, dove le antiche vestigia  continuavano ad esercitare il loro straordinario fascino in chi le ammirava.
Quanta storia! Quanti grandi uomini erano vissuti tra quelle vetuste pietre! E lui là, felice e quasi fuori dal tempo, assaporava tutto e cercava di “stampare” nella mente ogni cosa che vedeva.
Ad un certo momento, girandosi verso l’amico, disse:
“ Nino, non si deve dire che sono venuto a Roma senza vedere San Pietro!”
Stabilito l’itinerario da seguire, gli amici si avviarono verso Piazza San Pietro e, giunti in Via della Conciliazione, Giacomino, estasiato dall’imponenza e dall’eleganza dei palazzi, al colmo dell’entusiasmo  esclamò:
“ Ninu, sugnu sicuru chi chista è la strata chiù bella di lu munnu!”
Ma l’amico ribattè:
“ Non è questa la strada più bella del mondo! Vuoi sapere qual è?
E al cenno affermativo del capo dell’amico continuò:
“ La strata chiù bella di lu munnu è la trazzera di Transinico!”
( La trazzera di Transinico, l’attuale viale Africa, fino agli anni ’50 era in mezzo ai campi ed era impraticabile;  chi la voleva percorrere doveva farlo a piedi, per via del fondo stradale molto sabbioso).
Immaginate come ci rimase male Giacomino!
E quando tornò a Mazara raccontò a familiari e parenti l’episodio, commentandolo così:
“ E cu li capisci a sti filosofi? La trazzera di Transinicu la strata chiù bella di lu munnu! Mah !”
Se ci riflettiamo, è solo una questione di punti di vista!

Francesca Adamo

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