Il
titolo è molto accattivante, potrebbe adattarsi ad un romanzo d’appendice
oppure alla saga di qualche importante e nobile famiglia. E invece non è niente
di tutto questo: è piuttosto la trasposizione in parole e in frasi dei pensieri
che attraversano la mente di una persona che, ormai giunta alla stagione
autunnale della propria vita e non più assillata dal lavoro, ha il tempo per
meditare, per riflettere sul senso della vita e per trarre conclusioni più o meno
condivisibili.
Volendo
dunque rappresentare poeticamente la vita di ciascuno di noi con una metafora,
mi piace paragonare la giovinezza alla
freschezza della primavera e la terza età all’autunno, quando l’anno sta già
consumando il suo tempo.
Tuttavia
il mio pensiero si è spinto oltre; mi sono chiesto: la differenza tra lo stato
giovanile e quello di un anziano è solo una questione di età oppure sta nel
fatto che la pelle va perdendo la freschezza, gli occhi la brillantezza, il
corpo l’armonia delle forme? La differenza è ben più profonda, rispondo a me stessa, e
riguarda soprattutto l’aspetto psico- mentale di ciascun individuo.
Quando
giovane, fresca e ottimista mi affacciavo alla vita, nonostante avessi ben
poco, ero felice e piena di aspettative. I miei occhi, che sempre guardavano
oltre il presente, erano colmi di curiosità e di domande; sognavo un mondo
meraviglioso e appagante; nella mia mente nascevano progetti e volevo raggiungere mete ; con tutto il mio essere ero protesa verso la
vita per carpirne tutto ciò che di bello e di buono essa avrebbe potuto offrirmi;
avrei voluto bruciare le tappe per arrivare prima possibile ai traguardi che mi
ero preposti. Il futuro era pieno di promesse e la vita era degna di essere
vissuta pienamente proprio per questo.
Ormai
è trascorso molto, troppo tempo da allora; alcuni sogni non si sono realizzati,
ma tanti traguardi sono stati raggiunti. Quasi in un soffio si è già consumata
la maggior parte del mio tempo.
Oggi
dunque posso ancora parlare di futuro?
Certamente, ma non sarebbe razionale
fare progetti a lungo termine, preferisco vivere alla giornata, ringraziando il
Signore e accettando come dono ogni singolo giorno che Egli mi concede di
vivere.
E
allora, cosa mi resta? E’ chiaro: mi restano “i ricordi” di tutta una vita che
è trascorsa e il tempo, grande medico, ha sbiadito e addolcito le esperienze vissute,
anche le più negative.
Ma
che cosa sono i ricordi?
E
come definire con parole appropriate qualcosa di così effimero?
Posso
provare a dare delle risposte: i ricordi sono
i frammenti della realtà del passato; possono essere vicini o lontani
nel tempo, nitidi oppure un po’ sfocati,
come certe fotografie che troviamo
sfogliando i vecchi album; possono riguardare la nostra vita individuale oppure
l’intera collettività.
Comunque
essi siano, hanno contribuito in larga misura a farci così come siamo, nel bene e nel male, perché rappresentano
sempre circostanze ed esperienze che, consapevolmente o inconsapevolmente,
abbiamo vissuto.
Mi
domando ancora:” Ma di che cosa sono fatti i ricordi?”
Sono
fatti di suoni, di rumori, di profumi o
di fragranze e di immagini che si rincorrono, come i fotogrammi di una
pellicola; hanno la stessa consistenza dei sogni, talvolta sono evanescenti,
qualche altra chiari, decisi e…indelebili. Se ne stanno lì, in un angolo
recondito del nostro cervello, pronti ad emergere alla prima occasione.
Mi
tornano in mente i versi di un antico canto popolare mazarese :
“Li
paroli arregginu li ummira
e
l’arriordi arregginu lu tempu”
(Le
parole sorreggono le ombre
E
i ricordi sorreggono il tempo).
Francesca Adamo
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