venerdì 16 marzo 2012

Le stagioni della vita


Il titolo è molto accattivante, potrebbe adattarsi ad un romanzo d’appendice oppure alla saga di qualche importante e nobile famiglia. E invece non è niente di tutto questo: è piuttosto la trasposizione in parole e in frasi dei pensieri che attraversano la mente di una persona che, ormai giunta alla stagione autunnale della propria vita e non più assillata dal lavoro, ha il tempo per meditare, per riflettere sul senso della vita  e per trarre conclusioni più o meno condivisibili.
Volendo dunque rappresentare poeticamente la vita di ciascuno di noi con una metafora, mi piace paragonare la giovinezza  alla freschezza della primavera e la terza età all’autunno, quando l’anno sta già consumando il suo tempo.
Tuttavia il mio pensiero si è spinto oltre; mi sono chiesto: la differenza tra lo stato giovanile e quello di un anziano è solo una questione di età oppure sta nel fatto che la pelle va perdendo la freschezza, gli occhi la brillantezza, il corpo l’armonia delle forme? La differenza è ben  più profonda, rispondo a me stessa, e riguarda soprattutto l’aspetto psico- mentale di ciascun individuo.
Quando giovane, fresca e ottimista mi affacciavo alla vita, nonostante avessi ben poco, ero felice e piena di aspettative. I miei occhi, che sempre guardavano oltre il presente, erano colmi di curiosità e di domande; sognavo un mondo meraviglioso e appagante; nella mia mente nascevano progetti e  volevo raggiungere mete ;  con tutto il mio essere ero protesa verso la vita per carpirne tutto ciò che di bello e di buono essa avrebbe potuto offrirmi; avrei voluto bruciare le tappe per arrivare prima possibile ai traguardi che mi ero preposti. Il futuro era pieno di promesse e la vita era degna di essere vissuta pienamente  proprio per questo.
Ormai è trascorso molto, troppo tempo da allora; alcuni sogni non si sono realizzati, ma tanti traguardi sono stati raggiunti. Quasi in un soffio si è già consumata la maggior parte del mio tempo.
Oggi dunque  posso ancora parlare di futuro? Certamente, ma non sarebbe  razionale fare progetti a lungo termine, preferisco vivere alla giornata, ringraziando il Signore e accettando come dono ogni singolo giorno che Egli mi concede di vivere.
E allora, cosa mi resta? E’ chiaro: mi restano “i ricordi” di tutta una vita che è trascorsa e il tempo, grande medico, ha sbiadito e addolcito le esperienze vissute, anche le più negative.
Ma che cosa sono i ricordi?
E come definire con parole appropriate qualcosa di così effimero?
Posso provare a dare delle risposte: i ricordi sono  i frammenti della realtà del passato; possono essere vicini o lontani nel tempo,   nitidi oppure un po’ sfocati, come certe  fotografie che troviamo sfogliando i vecchi album; possono riguardare la nostra vita individuale oppure l’intera   collettività.
Comunque essi siano, hanno contribuito in larga misura a farci così come  siamo, nel bene e nel male, perché rappresentano sempre circostanze ed esperienze che, consapevolmente o inconsapevolmente, abbiamo vissuto.
Mi domando ancora:” Ma di che cosa sono fatti i ricordi?”
Sono fatti  di suoni, di rumori, di profumi o di fragranze e di immagini che si rincorrono, come i fotogrammi di una pellicola; hanno la stessa consistenza dei sogni, talvolta sono evanescenti, qualche altra chiari, decisi e…indelebili. Se ne stanno lì, in un angolo recondito del nostro cervello, pronti ad emergere alla prima  occasione.
Mi tornano in mente i versi di un antico canto popolare mazarese :
“Li paroli arregginu li ummira
e l’arriordi arregginu lu tempu”
(Le parole sorreggono le ombre
E i ricordi sorreggono il tempo).

Francesca Adamo
  

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